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Lo Sport ai tempi del Covid: quale futuro?

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Lo sport di base è uno dei capisaldi della crescita fisica e sociale dei nostri ragazzi, una buona abitudine per tenersi in forma nell’età adulta, ma è anche un settore che da lavoro a tente persone. Attraverso questa intervista ad Antonio Rogliani, presidente di AICSPORT, vogliamo indagare come gli operatori stanno vivendo la situazione di emergenza Covid-19 e quali azioni immaginano per una ripresa delle attività post pandemia.

Antonio, una vita dedicata allo sport, prima come insegnante e poi come presidente di una associazione sportiva affiliata al CONI, raccontaci la tua esperienza

Docente di scienze motorie, tanti anni fa ho iniziato la mia esperienza professionale di gestione di società sportive collaborando con l’Associazione Italiana Cultura e Sport (AICS) in qualità di semplice volontario.

Oggi sono uno dei nove fondatori dell’AICSPORT e ricopro la carica di presidente. La società, che conta su un fatturato superiore al milione di euro e dispone di circa 70 collaboratori, è specializzata nella gestione di centri sportivi: oggi è alla guida del Centro Sportivo di Corsico (MI) e del Centro Sportivo di Tromello (PV).

Lo sport è un settore che in Italia è una medaglia a due facce: è il clamore del circo mediatico che ruota intorno ai grandi big ma è anche l’invisibilità di tutte le discipline che vengono praticate dalle persone di tutte l’età. Tu rappresenti la seconda faccia, ci vuoi raccontare come si lavora nell’ambito dello sport “invisibile”?

In Italia abbiamo circa 148 mila impianti sportivi, 70 mila associazioni sportive, un milione di operatori e circa 22 milioni di persone che praticano le attività motorie almeno una volta alla settimana. Di tutti questi utenti il 60% è rappresentato da ragazzi tra i 3 anni ed i 14 anni. Il fatturato dello sport in Italia è pari a circa 22 miliardi, che corrisponde al pari al 2.3 % del PIL.

Lo sport di base è finanziato per lo più dalla famiglie (20 miliardi) e solo in minima parte da imprenditori (500 milioni) e da enti pubblici (1.5 miliardi). Lo sport di base è quindi largamente sostenuto dagli appassionati, che ad esso dedicano tempo e risorse economiche.

Le associazioni sportive, pur rappresentando un fenomeno vastissimo e strutturale, sono costrette a lottare contro un sistema legislativo mal coordinato e ad amministrazioni pubbliche poco attente al rispetto delle esigenze di tutela degli impianti e delle convenzioni con cui spesso si conferisce alle associazioni stesse il diritto di gestirli.

Inoltre, i collaboratori sportivi non hanno alcuna tutela, non sono parti di un rapporto di lavoro tradizionale e non accedono ad alcuna forma di trattamento previdenziale. Questa situazione determina una forte svalutazione delle competenze: dal punto di vista del trattamento economico una laurea in scienze motorie equivale ad un attestato di partecipazione ad un qualsiasi corso di formazione di base organizzato da una qualche federazione sportiva o da un ente privato.

Il settore dello sport è uno di quelli che per primi hanno subito le conseguenze della pandemia Covid-19, come vedi i prossimi mesi?

A partire dal 23 febbraio scorso, alle associazioni ed alle società sportive dilettantistiche è stato imposto di cessare le attività e di congelare, quindi, tanto i rapporti con i propri collaboratori quanto le relazioni con gli iscritti e gli associati. Il blocco è stato ordinato senza alcuna garanzia, senza che nessuno si premurasse di assicurare una prospettiva. La forzata inattività sta consumando il movimento sportivo di base.

Per il futuro servono indicazioni precise sui protocolli da adottare per la tutela della salute alla ripresa delle attività, servono strumenti legislativi ed economici per aiutare il mondo delle associazioni sportive dilettantistiche. Per iniziare si potrebbe pensare di attivare due misure: incentivare le società a rilasciare un voucher a tutti gli iscritti che non hanno potuto usufruire dei servizi acquistati prima dell’emergenza coronavirus; aiutare le società a sostenere i costi di adozione delle misure necessarie per consentire la riapertura al pubblico in completa sicurezza, attraverso ad esempio una riduzione dei canoni di locazione/concessione ed un intervento mirato sull’abbattimento dei costi energetici.

Infine, le discipline che attirano maggiori investimenti e i grandi eventi devono partecipare al sostentamento della pratica di base, che è quella che contribuisce a formare i campioni del futuro.

Si dice che ogni crisi può essere un’opportunità, secondo te è possibile realizzare questo proverbio nel settore dell’offerta sportiva? Quali sono le cose che secondo te possono essere cambiate per facilitare e migliorare il lavoro degli operatori?

Per la salvezza dell’intero movimento è necessaria una vera e propria rivoluzione culturale.

È l’occasione di ripensare la categoria e di garantire l’accesso ad essa esclusivamente a chi abbia una formazione universitaria. L’innalzamento dello standard dev’essere poi sostenuto da un contestuale adeguamento dei rapporti di lavoro, da regolare mediante contratti strutturati, che prevedano forme di accumulo previdenziale e tutele di carattere assicurativo.

La tragedia Covid è in questo settore, come in altri, fonte di dolore e generatrice di nuove opportunità. Queste, però, non possono che essere tradotte in atto con una visione d’insieme da parte dei vertici del movimento e non certo con una scomposta rincorsa al consenso.